Approfondimenti
Proporzioni Sacre
Immaginiamo di entrare in una piccola chiesa di campagna, come la Cappella di San Nicola a Colle d’Anchise. Non ci sono grandi colonne né volte affrescate: solo un’aula rettangolare, semplice, luminosa. Eppure, appena varcata la soglia, si prova spesso una sensazione precisa: “qui dentro si sta bene”. È uno spazio che sembra fatto su misura per la preghiera, per il silenzio, per lo stare insieme. Ma da dove nasce questa sensazione?
Una parte della risposta sta nei numeri, nelle proporzioni. L’architettura sacra, fin dalle sue origini, non si limita a “chiudere” un volume; cerca di costruire un microcosmo ordinato, un riflesso terreno di un’armonia percepita come superiore. Nel mondo biblico, questo principio è chiarissimo nel racconto del Tabernacolo: la “Dimora” di Dio nel deserto, descritta con straordinaria precisione nel libro dell’Esodo. I teli della copertura devono misurare ventotto cubiti di lunghezza e quattro di larghezza; cinque teli vengono uniti da un lato, cinque dall’altro, poi collegati da fermagli in modo da formare un unico grande manto di quaranta per ventotto cubiti.
Se riduciamo questo rettangolo all’essenziale, abbiamo un rapporto 40:28, che semplificato diventa 10:7. Nella Cappella di San Nicola, la semplice misurazione dell’aula fornisce valori sorprendentemente vicini: circa 10 metri di lunghezza per 7 di larghezza. Coincidenza? Forse sì. Ma è una coincidenza che colpisce l’occhio di chi conosce la tradizione delle “proporzioni sacre”: quello che vale per la Dimora nel deserto sembra riaffiorare, in forma spontanea, in un piccolo edificio rurale molisano.
La Bibbia è costellata di numeri simbolici: il tre (Trinità, giorni nel sepolcro), il quattro (i punti cardinali, i fiumi del paradiso), il sette (compimento della Creazione), il dodici (tribù di Israele, apostoli), il quaranta (anni nel deserto, giorni del diluvio e del digiuno). Non si tratta di matematica astratta: questi numeri modulano racconti, cicli di feste, tempi di preparazione. Nel caso del Tabernacolo, la moltiplicazione dei cinque teli per due, uniti in un insieme unico, suggerisce l’idea di un’unità che nasce dalla somma di parti diverse, dall’incontro fra cielo e terra, fra Dio e il popolo.
Accanto a questi rapporti simbolici, nella lettura moderna dei testi sacri è comparso un altro ospite affascinante: la cosiddetta “proporzione aurea”, indicata con la lettera greca phi (φ), pari a circa 1,618. È il rapporto che si ritrova, in natura, nella spirale di alcune conchiglie, nella disposizione dei semi di girasole, in certe sequenze di crescita delle piante, e che molti artisti hanno cercato di applicare a quadri, sculture, facciate di edifici.
Alcuni studiosi contemporanei hanno provato a rintracciare tracce della proporzione aurea anche nella Bibbia: ad esempio nel rapporto fra alcune misure attribuite all’Arca dell’Alleanza, alla facciata del tempio di Salomone, o alla stessa Arca di Noè. In molti casi si tratta di letture suggestive, più che di prove matematiche ineccepibili; tuttavia, il dato interessante è un altro: la tradizione giudaico-cristiana sembra cercare, con insistenza, rapporti che non siano casuali, ma che esprimano un equilibrio riconoscibile, vicino a ciò che oggi chiameremmo “bellezza proporzionata”.
Nel cantiere di una chiesa rurale molisana non circolavano certo trattati di geometria sacra, ma circolavano regole pratiche: “la lunghezza sia un po’ più grande della larghezza”, “meglio che la pianta sia un rettangolo allungato, non un quadrato”, “che lo spazio non sia né troppo largo né troppo stretto”. Col passare dei secoli, queste regole si sono consolidate in proporzioni ricorrenti – come 2:3, 3:4, 1:√2 – che ritroviamo in tante chiese europee.
La Cappella di San Nicola, con il suo rapporto interno di 10 a 7, entra perfettamente in questa famiglia di spazi: da un lato è un rettangolo abbastanza allungato da guidare lo sguardo verso l’altare; dall’altro non è così stretto da comprimere chi entra. È uno spazio che invita a camminare in avanti, ma anche a sostare. Se pensiamo che lo stesso rapporto 10:7 è quello che possiamo ricavare dal Tabernacolo, il legame simbolico si fa ancora più intrigante: la comunità riunita nella cappella si colloca dentro una “dimora” che risuona, almeno idealmente, con la Dimora del deserto.
Naturalmente non dobbiamo immaginare un muratore ottocentesco che misura la cappella con in mano la Vulgata di san Gerolamo e un compasso. Ma possiamo accettare l’idea che esistano proporzioni “buone”, sperimentate per secoli, che gli artigiani hanno imparato a usare perché funzionano: fanno stare bene le persone, rendono lo spazio comprensibile a colpo d’occhio, aiutano la preghiera.
In questo senso, parlare di “proporzioni sacre” non significa attribuire poteri magici ai numeri, ma riconoscere che il modo in cui misuriamo un ambiente può avvicinarci oppure allontanarci da un’esperienza di armonia. Nella Cappella di San Nicola, quell’armonia è racchiusa in pochi metri e in un semplice rapporto, 10 a 7, che fa da ponte silenzioso tra la Bibbia, la storia dei cantieri e la percezione di chi, oggi, entra e sente, quasi istintivamente: “questo è proprio un luogo fatto per pregare”.




Immagine puramente esemplificativa
Immagine puramente esemplificativa
La Transumanza
Transumanza in Molise: tratturi, tratturelli e una cultura in cammino. Per capire davvero la Cappella di San Nicola e il paesaggio che la circonda, bisogna cambiare punto di vista. Non immaginare il Molise come una cartolina immobile, ma come un territorio in movimento, attraversato per secoli da fiumi di lana, zoccoli e passi umani. Questi fiumi hanno un nome antico e preciso: transumanza.
La transumanza è molto più di uno spostamento di animali: è un modo di organizzare la vita. Due volte l’anno, all’inizio dell’inverno e della primavera, intere comunità si mettevano in cammino lungo gli antichi tratturi, le grandi “autostrade verdi” dell’Appennino: fasce di terreno erboso larghe fino a centoundici metri, riconosciute come vie pubbliche già in epoca aragonese. Su questi corridoi d’erba si muovevano greggi, cavalli, muli carichi di masserizie, ma anche canti, storie, notizie, preghiere. Il Molise è attraversato da quattro grandi tratturi regi – L’Aquila–Foggia, Celano–Foggia, Pescasseroli–Candela, Castel di Sangro–Lucera – che scendono dall’Abruzzo verso la Puglia, tagliando la regione da nord a sud. A questi si aggiunge una rete fittissima di bracci, tratturelli e varianti locali che raggiungono vallate, crinali, pianori nascosti. Visti dall’alto, questi percorsi formano una sorta di “scheletro verde” su cui, per secoli, si è appoggiata l’economia di intere famiglie. Nel 2019 la transumanza è stata riconosciuta Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO: un riconoscimento che non riguarda solo il passato, ma anche il modo in cui oggi ripensiamo il rapporto tra paesaggio, lavoro e memoria. Camminare su un tratturo significa letteralmente calpestare una storia viva: pietre consumate, solchi, muretti a secco, resti di stazzi, croci di legno, cappelle abbandonate o restaurate. Lungo questi cammini d’erba non viaggiavano soltanto gli animali. Viaggiavano anche le devozioni. Il culto di San Michele, protettore dei valichi e dei confini, e quello di San Nicola, amico dei poveri e dei viandanti, si sono diffusi proprio lungo i percorsi della transumanza. È facile immaginare i pastori che, arrivando in vista di una cappella rurale, si fermano a chiedere protezione per la stagione invernale, o ringraziano per il ritorno in primavera. La fede, in questo contesto, non è un discorso astratto: è una compagna di viaggio. Il Regio Tratturo Pescasseroli–Candela, ad esempio, entra in Molise e tocca località come Castelpetroso, Santa Maria del Molise, Bojano, Guardiaregia, Sepino, Cercemaggiore. Ogni paese ha il suo rapporto con il tratturo: un guado, un’area di riposo, un ponte, una fontana. E spesso, poco lontano, una chiesa o una cappella. La Cappella di San Nicola a Colle d’Anchise non è direttamente sul tracciato di un regio tratturo, ma vive nello stesso universo: quello dei percorsi stagionali, dei campi attraversati, delle alture usate come punti di riferimento nel paesaggio. Accanto ai grandi assi principali, i tratturelli minori svolgevano la funzione dei capillari: collegavano i paesi ai tratturi regi, le masserie isolate ai centri abitati, i pascoli al fondovalle. È su questi percorsi secondari che spesso sorgono le cappelle rurali: luoghi dove ci si fermava a riposare, a contare gli animali, a condividere un pasto, a recitare una preghiera. In questo senso, la Cappella di San Nicola è una soglia: non solo un edificio, ma un punto in cui il cammino rallenta, si raccoglie, si carica di senso. Oggi molti tratti di tratturi sono stati riscattati dall’abbandono e trasformati in cammini escursionistici, percorsi didattici, itinerari di turismo lento. Camminare lungo un tratturo significa rimettere i piedi dove, per secoli, sono passate generazioni di pastori. Significa anche comprendere perché certe cappelle, come quella di Colle d’Anchise, siano state costruite proprio lì dove si trovano: in posizioni visibili, su piccoli rilievi, affacciate su spazi ampi in cui era possibile radunare uomini e animali. In questo scenario, la Cappella di San Nicola non è solo un bel restauro o un interessante manufatto architettonico: è un frammento vivo della cultura della transumanza. Le sue feste, la benedizione del bestiame, i pranzi sotto le querce non sono ricostruzioni folkloristiche, ma la prosecuzione – in forme nuove – di un modo di vivere che ha modellato il paesaggio e l’identità del Molise. Ogni volta che la comunità si ritrova attorno alla cappella, la transumanza, in qualche modo, torna a camminare.




Immagine puramente esemplificativa
Immagine puramente esemplificativa
Le vie Micaeliche e di San Nicola attraverso il Molise. Se potessimo alzarci in volo sopra il Centro-Sud Italia, come in una ripresa lenta da documentario, vedremmo il Molise non come una periferia dimenticata, ma come un crocevia. Una piccola regione attraversata da due grandi correnti invisibili: da una parte la scia luminosa di San Michele Arcangelo, dall’altra il solco profondo lasciato da San Nicola. Due santi, due culti, una fitta rete di strade, cappelle e riti che uniscono montagne, colline e mare. La cosiddetta “Via Micaelica” è un grande itinerario europeo che mette in relazione i santuari dedicati all’Arcangelo Michele, dalla Normandia al Gargano. In questo tracciato ideale, il Molise non è un semplice territorio di passaggio: è un tratto in cui la devozione si concentra in piccoli centri, grotte, alture che parlano ancora il linguaggio dei pellegrini. Basti pensare a Sant’Angelo in Grotte, dove la tradizione vuole che Michele abbia dimorato in una cavità rocciosa prima di “aprire un varco” verso il Gargano. È un racconto leggendario, certo, ma dice una cosa chiara: l’Arcangelo, qui, è di casa. Oggi la Via Micaelica Molisana riprende questi fili antichi e li intreccia in percorsi di cammino: sentieri che collegano grotte, chiese, cappelle e paesi, spesso seguendo l’andamento degli antichi tratturi. Non si cammina solo nello spazio, ma anche nel tempo: ogni passo riavvicina alle orme dei pastori, dei pellegrini, dei soldati, dei contadini che per secoli hanno usato le stesse vie d’erba per spostarsi e sopravvivere. Accanto a questa corrente micaelica, il Molise è fortemente segnato dal culto di San Nicola. Se le reliquie del Santo riposano a Bari, la sua presenza simbolica è ben viva anche qui, in una costellazione di chiese e devozioni popolari. In diversi paesi – da San Giuliano del Sannio a Cercepiccola, da Guardiaregia a molti altri centri minori – si celebrano feste e riti che raccontano un San Nicola vicino alle persone: protettore dei bambini, dei poveri, dei viandanti. Emblematico il gesto della “pesatura dei bambini”, in cui i piccoli vengono simbolicamente affidati al Santo per ottenerne protezione e guarigione. In questo mosaico di percorsi e di riti, la Cappella di San Nicola a Colle d’Anchise è una tessera preziosa. Non è un santuario monumentale, non è meta di grandi pellegrinaggi organizzati, e proprio per questo il suo ruolo è ancora più affascinante: è una stazione di sosta lungo le strade della transumanza e della vita quotidiana. Sorge su una piccola altura, ai margini dei percorsi che univano il paese ai fondi agricoli e ai tratturi maggiori; davanti alla facciata, le querce secolari raccontano di pranzi comunitari, di benedizioni del bestiame, di giornate in cui sacro e profano convivevano senza separazioni nette. Lungo i tratturi che attraversano il Molise si incontrano sia cappelle dedicate a San Michele, spesso poste su crinali o presso grotte, sia cappelle intitolate a San Nicola, più legate agli spazi di lavoro, ai campi, alle vie di collegamento tra i paesi. È come se i due santi si dividessero il compito: l’Arcangelo veglia dall’alto, difendendo dai pericoli; San Nicola cammina accanto agli uomini, li accompagna nelle preoccupazioni quotidiane, nelle fatiche del viaggio e del sostentamento. Le iniziative recenti dedicate alla riscoperta della Via Micaelica e dei percorsi nicolaiani non fanno che portare alla luce una trama che esiste da secoli. Camminare oggi verso la Cappella di San Nicola a Colle d’Anchise, magari seguendo le antiche strade di campagna, significa entrare dentro questa narrazione: si segue una traccia spirituale che attraversa la regione da nord a sud, si incrociano le devozioni di chi ci ha preceduti, si riscopre un Molise che non è solo “terra di mezzo”, ma terra di incontro, di passaggio e di custodia. E all’arrivo, quando la piccola cappella appare fra gli alberi, si ha la sensazione di aver raggiunto non solo un luogo, ma una storia condivisa.
Le Vie Micaeliche e di San Nicola
Il prof. Cosimo Damiano Fonseca ha sottolineato in diverse occasioni come, durante il Medioevo, l’unità dell’Europa trovi un essenziale punto di riferimento nella capillare presenza di santuari e nella fitta rete viaria che li collegava. Nel meridione d’Italia e nella Puglia in particolare i santuari di San Michele del Gargano e di San Nicola di Bari hanno fatto da cerniera. Anche se c’è una sostanziale e comune matrice bizantina ma si può cogliere anche una sostanziale differenza sul rapporto che si crea con il resto dell’Europa e del Mediterraneo: col santuario garganico la Puglia ha guardato soprattutto all’Europa centro- settentrionale e alle popolazioni di matrice germanica; con quello nicolaiano al mondo bizantino, alla Russia e ai Paesi dell’Est europeo.






Contatti
Per domande o visite, siamo qui per te
Telefono
info@anticacappelladisanicola.it
+39 0874 123456
© 2025. All rights reserved.
QUESTO SITO è STATO REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI: PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA PNRR - M1C3 TURISMO E CULTURA - MISURA 2 "RIGENERAZIONE DI PICCOLI SITI CULTURALI, PATRIMONIO CULTURALE, RELIGIOSO E RURALE", INVESTIMENTO 2.2: "PROTEZIONE E VALORIZZAZIONE DELL'ARCHITETTURA E DEL PAESAGGIO RURALE" - DOMANDA ID 5937, PROT. C.D.P. N. 2112883/22 DEL 14/06/2022, PROPONENTE: PARROCCHIA SANTA MARIA DEGLI ANGELI - DENOMINAZIONE DELL’INTERVENTO: “RIGENERAZIONE DI PICCOLI SITI CULTURALI, PATRIMONIO CULTURALE, RELIGIOSO E RURALE - CUP: D84H22002160006, ANTICA CAPPELLA SI SAN NICOLA.





